William Faulkner
Secolo XX
USA
L'Autore - William Faulkner (New Albany - Mississippi, USA,
1897 - 1962). Partecipò alla guerra 1915-18 con l'aviazione canadese
e fu ferito sul fronte di Francia. Reduce in America, fece vari mestieri:
imbianchino, portalettere, falegname, contadino. Prototipo dell'americano
degli anni mitici, si conquistò lentamente una grossa fama
letteraria che arrivò dopo il primo romanzo, Santuario, del
1913. Le sue opere, alcuni versi e molti romanzi psicologici e carichi di
riferimenti simbolici, a volte allucinanti e brutali, sono sempre
ambientate negli Stati del Sud, a quei tempi ancora ribollenti di razzismo
e ancora dominati dai residui delle vecchie dinastie terriere, prepotenti e
schiaviste. Nel 1949 gli fu attribuito il Premio Nobel per la
Letteratura.
Altre opere principali: Santuario (Sanctuary, 1913), La paga del
soldato (Soldier's pay, 1926), L'urlo e il furore (The sound and
the fury, 1929), Luce d'agosto (Light in august, 1932),
Assalonne, Assalonne! (Abaslom, Absalom!, 1936), Scendi
Mosé (Go down Moses, 1942), Oggi si vola (Pylon, 1935),
Requiem per una monaca (Requiem for a nun, 1951).
I QUATTRO BRANI CHE SEGUONO SONO TRATTI DAL ROMANZO:
SARTORIS - 1929 (trad. di M. Stella Ferrari - ed. Garzanti, 1955)
In questo romanzo chiave dell'opera di W. F., per la prima volta compare
il tema, poi ricorrente, delle grandi dinastie del vecchio Sud, che non
sanno risorgere dalle ceneri di una sconfitta sempre presente nello
spirito. Qui è la famiglia Sartoris, che ha alle spalle una lunga
tradizione di prepotenza, coi suoi uomini sfrenati, orgogliosi, violenti
verso sè e verso gli altri; e con le sue donne sottomesse, almeno
all'apparenza, ma conscie di essere le depositarie dei germi del futuro.
Bayard Sartoris, reduce dalla guerra in Europa, dove ha combattuto come
aviatore, è tormentato dal senso di colpa per la morte del fratello,
suo compagno d'armi, e non riesce a riprendere il suo posto ed il suo ruolo
nella vita di Jefferson, la piccola città della sua infanzia.
LE TRE ETA' DI UN GIARDINO DEL VECCHIO SUD (Parte prima. Capitolo
II)
La destinazione di Simon [il vecchio cocchiere nero, N. di Larkie]
era un grosso edificio in mattoni, costruito proprio sulla strada. In quel
posto sorgeva, un tempo, una bella vecchia casa coloniale, tra magnolie,
querce e cespugli in fiore. Ma era andata bruciata, e una parte degli
alberi erano stati abbattuti per fare posto ad un miscuglio architettonico
così spaventosamente imponente da acquistare una specie di
maestà. Era un monumento alla sobrietà (e il mausoleo delle
aspirazioni mondane delle sue donne) di un montanaro venuto da una piccola
colonia chiamata Frenchman's Bend, il quale, come diceva miss Jenny Du Pre,
aveva costruito la più bella casa di Frenchman's Bend sul più
bel terreno di Jefferson. Il montanaro aveva resistito due anni, durante i
quali le donne della famiglia avevano passato le mattinate sulla veranda in
cuffietta di pizzo, e i pomeriggi in abiti di seta colorata, scarrozzandosi
in città su un phaéton con le ruote gommate; poi il
montanaro aveva venduto la casa ad un nuovo arrivato, e aveva ricondotto le
sue donne in campagna e, senza dubbio, le aveva rimesse al lavoro.
[...]
Il montanaro aveva costruito la sua casa così sulla strada che la
maggior parte del parco originario con i suoi begli alberi secolari si
trovava dietro ad essa. C'erano un tempo mirti, siringhe, cespugli di
lillà e di gelsomini sparsi senza ordine, e caprifoglio ammassato
sulle siepi e sui tronchi degli alberi; dopo che era bruciata la prima
casa, la vegetazione aveva invaso tutto, e fatto del suo disordine
scapigliato una giungla intricata e odorosa, prediletta dai merli e dai
tordi, dove ragazze e giovanotti s'attardavano nelle sere di primavera e di
estate, tra voli di lucciole, cori di nottole e, spesso, il tremolo liquido
d'una civetta. Poi l'aveva comprata il montanaro e aveva abbattuto alcuni
alberi per costruirsi la casa vicino alla strada secondo la moda paesana, e
aveva sradicato la giungla e imbiancato gli alberi superstiti, costruendo
tra i fantasmi dei loro tronchi i recinti per la stalla, il porcile, e il
pollaio. Non vi era rimasto abbastanza a lungo per sapere di garages.
Un po' della desolazione antisettica di quel periodo adesso era scomparsa,
e l'attuale proprietario aveva fatto piantare nuovi cespugli - gelsomino,
arancio selvatico e verbena - e alla loro ombra aveva disposto tavolini e
sedie di ferro verde e una piscina e un campo di tennis. Simon procedeva
con discreta sicurezza e, guidato da un ronzio senza consonanti di voci
femminili, entrò nella cucina dove una donna magra, con un turbante
d'un color viola funereo e in mano un biscotto intinto nella maionese, e
un'altra donna, grossa come una montagna, col grembiale sudicio del suo
mestiere, che beveva gelato liquefatto da una sottocoppa, rotearono gli
occhi appena lo videro.
COL GIARDINIERE DI COLORE (Parte seconda. Capitolo I)
Simon diceva: «Non si pianta mai niente dove andrebbe
piantato.» Era seduto sul primo scalino ed affilava la lama di una
zappa con una lima. Miss Jenny, assieme alla sua visitatrice, era in piedi
sopra di lui, sull'orlo della veranda, con un feltro da uomo e dei guanti
pesanti. Un paio di forbici le pendeva dalla cintura, luccicante nel sole
del mattino.
« E di chi è la colpa?» ella chiese.«Tua o del
Colonnello? Tu e lui siete solo capaci di oziare sotto questo portico e di
dirmi dove una pianta crescerà meglio o farà migliore
effetto, ma non ho mai visto che uno di voi abbia fatto spuntare dalla
terra nemmeno un filo di gramigna. Non darei due soldi per i bei posti dove
tu o il Colonnello vi figurate che si debba piantare un fiore: io pianto i
miei fiori esattamente dove desidero piantarli.»
«E poi vi lamentate che non crescono,» Simon aggiunse.
«Questo è il sistema di giardinaggio, vostro e di Isom. Grazie
a Dio Isom non dovrà guadagnarsi la vita con quel bel giardinaggio
che impara qui.» Sempre affilando il taglio della zappa, voltò
il capo verso l'angolo della casa.
Aveva in testa un cappello indecente, di un tessuto che da anni non aveva
più un nome. Miss Jenny lo guardò freddamente.
«Isom si è guadagnata la vita nascendo negro,»
rimbeccò miss Jenny. «Faresti meglio a smettere di raschiare
quella zappa, e vedere se te la senti di strappare un po' di erbacce da
quel letto di salvia.»
«Devo pur dare un po' di filo a questa striglia,» disse Simon.
«Voi andate nel vostro giardino ed io pulirò l'aiuola.»
Intanto seguitava ad affilare il taglio della zappa.
«Hai già raspato abbastanza per capire che non puoi ridurre
quella lama fino al manico, soltanto con una lima,» disse miss Jenny.
«Non hai fatto altro dall'ora di colazione. Ti ho sentito. Ad ogni
modo vattene laggiù dove la gente che passa potrà pensare che
stai lavorando.»
Simon borbottò tristemente e impiegò mezzo minuto per mettere
giù la lima. L'appoggiò su uno scalino, poi la riprese e la
depose su un altro. Infine l'appoggiò contro lo scalino a sé.
Fece scorrere il pollice sul taglio della zappa, esaminandolo con speranza
maligna.
«Forse ora va,» fece, «Ma sarà come sarchiare con
una str...»
«In tutti i casi provaci,» disse miss Jenny. «Forse le
erbacce la crederanno una zappa. Comunque va' a dargliene
l'occasione.»
«Vado, vado,» rispose Simon stizzosamente, alzandosi e
ciondolando via. «Voi andatevene nel vostro giardino, e io mi
occuperò di questo.»
Miss Jenny e la visitatrice scesero i gradini e andarono verso l'angolo
della casa.
«Non riesco a capire perché preferisca star lì a limare
la zappa nuova invece di sradicare qualche erbaccia da quel letto di
salvia,» disse miss Jenny. «Ora lo farà. Se l'avessi
lasciato stare, sarebbe rimasto a graffiare quella zappa fino a ridurla una
sega. Tre o quattro anni fa Bayard comprò una tosatrice per l'erba,
Dio sa per che farne, e l'aveva affidata a Simon. La fabbrica la garantiva
per un anno. Non conoscevano Simon. Spesso lo scorso anno, leggendo nei
giornali di tutte quelle devastazioni, eccetera, pensavo quanto si sarebbe
divertito Simon in guerra. In fatto di devastazioni avrebbe potuto insegnar
loro cose che non s'erano mai sognati. Isom!» chiamò.
Entrarono nel giardino, e miss Jenny si fermò al cancello.
«Tu, Isom!»
Questa volta la risposta venne, e miss Jenny andò avanti con la sua
visitatrice, mentre Isom, sbucato da qualche parte, si chiudeva dietro il
cancello.
Il GIARDINO DEI BENBOW (Parte terza. Capitolo I)
Si erano lasciati alle spalle le misere bottegucce, e adesso la strada si
apriva tra vecchi prati ombrosi, spaziosi e placidi. Qui le case erano
molto vecchie, almeno in apparenza, e situate ben lontane dalla strada e
dalla sua polvere; emanavano una pace amabile e benevola, riposante come un
pomeriggio senza vento in un mondo senza movimento e senza suono. Horace
guardava intorno e tirò un profondo sospiro.
«Forse è questa la ragione delle guerre,» disse.
«Il senso della pace.»
Svoltarono in una via trasversale, più stretta ma più ombrosa
ed anche più quieta, d'un'arcadica e dorata sonnolenza, ed entrarono
per un cancello in un recinto di sbarre di ferro ricoperte di caprifoglio.
Dal cancello il viale inghiaiato saliva con una larga curva, fra i cedri. I
cedri erano stati piantati da un architetto inglese del '40, che aveva
costruito la casa (con la piccola concessione di una veranda) nel funereo e
leggero stile Tudor, che la giovane Vittoria aveva sanzionato; sotto i
cedri, e tra di essi, anche nelle giornate più soleggiate, regnava
una inebriante penombra resinosa. Vi si compiacevano i merli, gli
uccelli-gatto e i tordi tranquilli e melliflui nel tardo pomeriggio; ma
sotto agli alberi l'erba era scarsa o assente, e non vi erano insetti,
salvo le lucciole nel crepuscolo.
Il viale saliva alla casa, si piegava in una curva davanti ad essa, e
scendeva di nuovo verso la strada sotto un arco ininterrotto di cedri. In
mezzo all'arco s'innalzava una quercia solitaria, larga, grossa e bassa;
intorno al suo tronco correva una panchina di legno. Lungo questa mezzaluna
di prato, fuori della curva del viale, crescevano cespugli di
corona-da-sposa e di funereo mirto, vecchi come il tempo e grossi come
l'età li aveva fatti. Alti come alberi, erano, e in un angolo del
recinto cresceva un groviglio stupefacente di macilente palme bananifere,
mentre, nell'altro, c'era un lantano, con le sue ferite grumose, che
Francis Benbow aveva portato a casa dalle Barbados nel 1871, dentro una
cappelliera da cilindro.
Intorno alla quercia, al di fuori della funerea scimitarra del viale in
discesa, si stendeva, verso la strada, un prato con un bel tappeto
interrotto da ciuffi sparsi di giunchiglie, di narcisi e di gladioli.
Originariamente il prato era a terrazzi, e i fiori erano un'aiuola ben
disegnata sul primo terrazzo. Poi Will Benbow, il padre di Horace e di
Narcissa, le aveva spianate. Vi avevano passato l'aratro e l'erpice, e
seminato nuovamente l'erba, credendo che l'aiuola fiorita fosse andata
distrutta. Invece, la primavera successiva, i bulbi, sparsi avevano
germinato di nuovo, e, da allora, ogni anno il prato si picchiettava
disordinatamente di boccioli bianchi, gialli e rosa. Qualche ragazzina
aveva chiesto, ed ottenuto, di coglierne in primavera, e i bambini dei
vicini giocavano tranquillamente tra di essi e sotto ai cedri. In cima al
viale, dove esso piegava per ridiscendere, sempre avvolta dall'odore fresco
e leggermente aspro dei cedri, c'era la casa di bambola, in miniatura,
nella quale Horace e Narcissa abitavano.
Era adorna di bianco, e aveva finestre a riquadri di ferro, fatte venire
dall'Inghilterra; lungo i bordi della veranda e sopra la porta, cresceva un
glicine che pareva un'enorme corda incatramata, ed era più grosso di
un braccio d'uomo. Le finestre del pianterreno si aprivano su tende
graziosamente svolazzanti, e sul davanzale ci si aspettava di vedere una
rustica scodella di legno, o, almeno, un bel gatto immacolato e sdegnoso.
Invece sul davanzale c'era soltanto un cestino da lavoro di vimini, da cui
pendeva, come una begonia fiorita, un lembo di ricamo a intarsio rosso e
bianco; e, nel vano della porta, zia Sally, una donnetta insignificante in
cuffietta di pizzo, che si appoggiava ad un bastoncino di ebano col pomo
d'oro.
Esattamente come doveva essere. E Horace si voltò indietro verso sua
sorella che attraversava il viale con i pacchetti che egli aveva nuovamente
dimenticati.
LA STORIA, SEGNATA DALLE FIORITURE (Parte quarta. Capitolo II)
«Non importa,» rispose il dottor Peabody. «[...] Una
volta andai da Jenny e e le chiesi di sposarmi,» soggiunse rivolto a
tutti.
«Vecchio bugiardo canuto,» esclamò miss Jenny,
«non avete mai fatto una cosa simile!»
«Oh! eccòme l'ho fatta! Ma soltanto per amore di John
Sartoris. Diceva sempre che la politica gli procurava già troppi
fastidi fuori, per sopportare anche quelli di casa. E sapete che...»
«Peabody, siete il più grosso bugiardo della terra!»
«... ci fu un momento che l'avevao quasi persuasa? Fu durante la
primavera di quell'anno in cui fiorirono per la prima volta quelle piante
che lei aveva portato dalla Carolina, e stavamo in giardino al chiaro di
luna, e c'era un merlo...»
Da: William Faulkner - SARTORIS - 1929 (trad. di M. Stella Ferrari -
ed. Garzanti, 1955)
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