Gustave Flaubert
Secolo XIX
Francia
L'Autore - Gustave Flaubert nasce a Rouen nel 1821.
Figlio del primario chirurgo Achille-Cléophas e di Caroline
Fleuriot, studia diritto, con scarso entusiasmo,
allUniversità di Parigi. Si ammala gravemente e nel
1844 lascia definitivamente gli studi. Nel 1857 viene assolto da
unaccusa di immoralità a causa del suo secondo
romanzo, Madame Bovary. Nel 1875 deve vendere tutte le
proprietà che gli garantiscono una rendita, per salvare dal
fallimento il marito di sua nipote, e muore nel 1880 lasciando
incompiuta la sua ultima opera Bouvard e Pécuchet. La
sua salute è minata dalle crisi nervose causategli dalla
guerra contro la Prussia del 1870, e dalle lunghe ricerche per
questa sua ultima opera, per la quale ha letto non meno di 1500
libri.
Opere principali: La tentazione di SantAntonio
(1849-1872), Madame Bovary (1856), Salambò
(1862), Leducazione sentimentale (1869), Tre
racconti (1877), Bouvard e Pécuchet (incompiuto).
UN GIARDINO ALL’INGLESE... DA MANUALE
[Bouvard e Pécuchet sono due balordi amici parigini quasi
cinquantenni, scapoli, pieni di idee pseudo-intellettuali alla
moda. A seguito di un’eredità decidono di lasciare il
lavoro di scrivani e di ritirarsi in campagna. Acquistato un podere
ed una casa nel nord della Francia, si dotano dei più
aggiornati libri e manuali e cominciano con lo sperimentare la
frutticoltura, poi la coltivazione dei campi, e ancora
l’orticoltura. Seguendo concetti e teorie strampalate e
d’avanguardia, con effetti a dir poco disastrosi, ben presto
si trovano col capitale quasi al lumicino.]
[...] Allora si accusarono dessere stati troppo ambiziosi, e
decisero dora in avanti di risparmiare tempo e danaro. Per il
frutteto, basterebbe una potatura di tanto in tanto. Niente
piú impalcature; gli alberi morti e abbattuti non li
sostituirebbero. Certo, si avrebbero così dei vuoti punto
estetici; a meno di buttar giú anche gli alberi rimasti in
piedi. Che decidere?
Pécuchet, col compasso alla mano, schizzò parecchi
progetti. Bouvard lo aiutava coi suoi suggerimenti. Non trovarono
nulla che li accontentasse. Frugando nella libreria, venne loro tra
mano, a trarli d'impaccio, il trattato di Boitard, intitolato
L'architetto dei giardini. L'autore distingue i giardini in
uninfinità di specie. Cè, in primo luogo,
il giardino di gusto nostalgico-romantico, contrassegnato da
piante di semprevivo, da rovine, da tombe; e, possibilmente, da una
«cappelletta ex voto alla Madonna, eretta nel punto dove
lantico signore è caduto sotto il ferro
dell'assassino». Si ottiene il giardino di gusto
tragico con roccioni pericolanti, alberi schiantati, capanne
semidistrutte da incendi; quello di tipo esotico piantandovi
cactus-candelabro del Perú «che suggeriscono nostalgie
in chi ha viaggiato ed ha soggiornato a lungo in paesi
lontani». Il genere serio deve offrire, come
Ermenonville, un tempio: rifugio ideale a chi si pasce di
filosofia. Gli obelischi e gli archi di trionfo caratterizzano il
genere maestoso; grotte e borraccine, il genere
misterioso; un lago, il genere sognatore. Né
manca il genere fantastico, di cui un tempo si ammirava il
piú bellesempio in un giardino del Wurtemberg - basti
dire che vi incontravi successivamente un cinghiale, un eremita,
parecchi sepolcri; e infine una barchetta che, staccandosi da
sé da riva, ti portava in un chioschetto arredato a
salottino: invitato da un sofà, ti sedevi e getti d'acqua ne
sprizzavano inondandoti.
Le meraviglie tra cui si poteva scegliere eran tante, che i due
amici ne rimasero abbagliati. Se solo i prìncipi potevano
permettersi il genere fantastico, se il tempio della filosofia era
piuttosto ingombrante, e lex voto alla Madonna privo di senso
nel caso loro, data la mancanza dun assassino, se i cactus
del Perú costavano troppo (peggio per viaggiatori e
colonizzatori!), il resto però era ben nei limiti delle loro
possibilità: i roccioni sospesi come gli alberi schiantati,
le piante di semprevivo, la borraccina. E dopo un primo periodo di
esitazioni e di tentativi, presi da un entusiasmo che andava ogni
dì crescendo, con laiuto dun solo garzonetto e
spendendo una miseria, si fabbricarono una residenza che non aveva
rivale in tutto il circondario.
Ora, il viale di carpini sapriva qua e là sul
boschetto che vialetti tortuosi percorrevano in tutti i sensi, in
modo da farne un labirinto. Nel muro della spalliera avevano
praticato un arco perché anche di là si godesse il
panorama; ma la volta dell'arco avendo naturalmente ceduto,
nera risultata una larga breccia nel muro e un mucchio di
calcinacci in terra.
L'asparagiaia era stata sacrificata per erigere al suo posto una
tomba etrusca: cioè a dire un cassone in muratura intonacato
di nero, alto sei piedi, che ricordava un canile. Quattro abeti del
Canadà fiancheggiavano il monumento, sul quale a suo tempo
figurerebbe unurna e uniscrizione.
Dallaltra parte dellorto, una specie di ponte che
scimmiottava quello di Rialto, cavalcava un laghetto artificiale
dagli orli incrostati di gusci darselle. Laghetto per solito
senzacqua: il fondo se la beveva; ma col tempo uno strato di
argilla si formerebbe e la tratterrebbe. Grazie aIla sostituzione
di vetri colorati a quelli che cerano, il capanno sera
trasformato in una capanna rustica. In cima al poggetto, sei alberi
disposti a quadrato sostenevano un tettuccio di latta a bordi
rialzati: insieme che costituiva una pagoda cinese. Sulle rive
dellOrne avevano raccolto pezzi di granito; ridotti a giusta
misura e numerati, se li erano portati a casa con un carretto;
lì, li avevano uniti insieme con calce e sovrapposti gli uni
agli altri; ed ora il conglomerato sergeva al centro del
prato, simile ad un gigantesco tubero di patata. Qualcosa di
là mancava che gli facesse riscontro. Abbatterono il tiglio
piú grosso del viale (che da qualche anno, del resto, non
buttava piú) e lo coricarono attraverso il giardino: lo
occupava in quasi tutta la lunghezza. Chi lo vedeva poteva credere
lavesse stramazzato un fulmine o travolto lì un
torrente.
Come il lavoro fu finito, Bouvard, che per godersi la vista,
sera portato in cima alla scalinata dingresso: -Vieni
qui! gridò all'amico. Si vede meglio!... - Vede meglio! -
qualcuno ripeté. - Vengo! - gridò Pécuchet. -
Vengo! - qualcuno ripeté. - To, leco! -
Leco! - ripeté leco. (I1 fenomeno acustico,
impedito sinora dalla presenza del tiglio, era dovuto al
ripercuotersi della voce tra la pagoda e il tetto, che le stava di
fronte, del granaio). Per sentirle ripetere, si divertirono a
lanciar frasi piccanti; Bouvard ne urlò di invereconde, di
oscene.
Col pretesto di danaro da riscuotere, Bouvard già piú
volte era stato a Falaise; e ogni volta nera tornato con un
pacchetto che chiudeva a chiave nel comò. Ora un mattino
anche Pécuchet partì per Bretteville; rincasò
tardissimo con un cesto che nascose sotto il letto.
Una sorpresa attendeva l'indomani Bouvard. I due tassi che
fiancheggiavano l'ingresso del viale principale e che ancora il
giorno prima erano sferici, avevano quel mattino forma di pavoni;
pavoni con tanto di becco e di occhi, rappresentato il primo da un
cornetto, i secondi da due bottoni di porcellana. Pécuchet
era saltato da letto allalba; e in punta di piedi era andato
ad acconciare in quel modo i due cespugli, secondo le istruzioni
che sera fatto mandare da Dumouchel. Già da sei mesi,
l'intera siepe aveva cambiato faccia; dei bossi, quale era
diventato una piramide, quale un cubo, quale un cilindro; altri
cervi, altri sedie a braccioli; ma il capolavoro restavano i
pavoni, quelli di Pécuchet. Bouvard lo riconobbe ed ebbe
vivi elogi per lautore. Col pretesto davervi smarrito
la vanga si tirò dietro lamico nel labirinto:
dellassenza di Pécuchet aveva profittato per fare
anche lui qualcosa di sublime. Alla porta che dava sui campi aveva
dato una mano di bianco, e su quel bianco eran ora schierate in
bellordine ben cinquecento cocce di pipa raffiguranti degli
Abd-el-Kader [Emiro arabo dAlgeria che dal 1832 al 1847
combatté contro i Francesi. N.d.R.], dei negri, donne
nude, zoccoli di cavallo e teste di morto.
-Capisci ora perché ero tanto impaziente? -Altro che! - E
dalla commozione si abbracciarono.
[I due amici, felici, decidono di dare un grande pranzo di
inaugurazione del giardino. Sono invitati tutti i maggiorenti del
villaggio, dal Sindaco alla signora Bordin, che ha un debole per
Bouvard. Nonostante il pranzo riesca maluccio, alla fine tra
brindisi e risate Bouvard bacia la Bourdin su entrambe le guance.]
[...] In quella saltarono i tappi di spumante, lanimazione di
fine pranzo toccò il suo apice. Il momento era giunto:
Pécuchet, fece un segno, le tendine si aprirono e il
giardino apparve.
Nella mezza luce del crepuscolo, leffetto fu impressionante.
Simile ad una montagna, il roccione dominava il prato; la tomba
etrusca formava un cubo in mezzo agli spinaci; il ponte veneziano,
un accento circonflesso sovrastante i filari di fagioli, e il
capanno, al di là, una gran macchia nera (il tetto di paglia
era stato incendiato perché fosse piú poetico).
I cespugli di bosso, a forma quale di cervo quale di seggiolone, si
susseguivano sino all'albero fulminato, che si stendeva
trasversalmente dal viale di carpini alla pergola in cui grappoli
di pomodori pendevano come stalattiti. Un girasole qua e là
sfoggiava il giallo del suo disco. La pagoda cinese, dipinta in
rosso, pareva sul poggetto un faro. Colpiti dal sole i becchi dei
pavoni si rimandavano barbagli; e oltre il cancello, liberato delle
assi che lavevano accecato, piatta a vista docchio la
campagna chiudeva lorizzonte.
Davanti allo sbalordimento dei convitati, Bouvard e Pécuchet
assaporarono una vera gioia.
Ad ammirare i pavoni, fu soprattutto la Bordin; la tomba fu gustata
meno, e così la capanna incendiata e il muro mezzo demolito.
Poi tutti, uno alla volta, vollero passare sul ponte. Ma il
laghetto era asciutto; lacqua che i due avevano impiegato
lintera mattinata a trasportare, era filtrata di tra le
pietre mal connesse del fondo, coperte ora solo dun po
di limo. Il gruppetto seguitava il suo giro; ma qualche appunto,
qualche critica già si lasciava udire: -Io, al loro posto,
avrei... I loro piselli sono in ritardo.. Francamente, questo punto
lascia un po a desiderare... Potato a questo modo,
questalbero non darà mai frutti... - Bouvard dovette
rispondere che dei frutti non glimportava nulla.
Arrivarono al viale di carpini: - Ve', - fece Bouvard, prendendo
unaria maliziosa: -Disturbiamo qualcuno!... Mille scuse!- La
facezia non fu raccolta. Tutti conoscevano da tempo la dama di
gesso. [In quel punto cera una statua di gesso
rappresentante una dama che si aggiustava le calze nascondendosi
nel boschetto. Bouvard, ogni volta che passava da lì,
ripeteva la sua battuta. N.d.R.] Percorsero avanti e indietro
il labirinto, sarrivò finalmente davanti
allesposizione di pipe. Vi fu uno scambio docchiate
stupefatte. Bouvard, che spiava i visi, impaziente di sapere che si
pensava del suo capolavoro: -Che ne dicono, eh? - Gli rispose uno
scoppio di risa della Bordin; contagioso, perché si
propagò: il parroco chiocciava, Hurel tossiva, il dottore
aveva le lacrime agli occhi; sua moglie, a forza di ridere, fu
presa dal singhiozzo; e Foureau, da quel maleducato che era,
spiccò la coccia dun Abd-el-Kader e se la ficcò
in tasca: per ricordo. Uscendo dal viale, Bouvard giocò
lultima carta: -Signore! gridò con quanto fiato aveva
in corpo. -Servo loro! - Niente! nessuneco! (la sua scomparsa
dipendeva da riparazioni che si stavano facendo al granaio, privo
in quel momento di tetto).
I1 caffè venne servito sul poggetto; il luogo invitava a una
partita a bocce e gli uomini si rimboccavano le maniche quando
scorsero, piantato dietro il cancello, un individuo che li fissava.
Era magro e abbronzato, la barba nera tagliata a spazzola; senza
camicia, con una giacca da soldato che cadeva su un paio di
pantaloni militari in brandelli. -Un bicchier di vino! -
articolò con voce rauca. Il sindaco e l'abate lavevano
riconosciuto alla prima: era uno che in passato aveva avuto
ìn paese una bottega da falegname. Disse il sindaco:
-Andiamo, Gorju! Seguitate per la vostra strada! non si chiede
lelemosina! -Lelemosina? - quello gridò
esasperato. -Ho fatto sette anni di guerra in Africa. Esco ora
dall'ospedale. Non ho lavoro. Devo ammazzare qualcuno? porco mondo!
Comera avvampata, la sua ira cadde; coi pugni ai fianchi
riprese ad osservare il gruppetto con unespressione tra di
invidia e di scherno. Nel suo sguardo torbido si leggeva tutta una
esistenza di miseria e di crapula: gli strapazzi durati sotto le
armi, le febbri, labitudine allassenzio. Le labbra
scolorite tremavano, scoprivano le gengive. I1 cielo imporporato
dal tramonto lo aureolava duna luce sanguigna; e
lostinazione con cui restava lì aveva qualcosa di
sinistro. Per troncare, Bouvard andò a prendere una
bottiglia in cui rimaneva un fondo di vino. I1 vagabondo la
portò avidamente alle labbra; poi gesticolando sparì
per un campo d'avena.
Il gesto di Bouvard fu biasimato; simili condiscendenze
incoraggiano il malcostume. Lui allora, irritato per
linsuccesso del giardino, prese le difese del popolo,
suscitando un vespaio. Parlavano tutti insieme. Foureau esaltava il
governo; Hurel non vedeva altro di buono che la proprietà
terriera, labate si lagnò che non si proteggesse la
religione; Pécuchet se la prese con le imposte; inascoltata
la Bordin badava a ripetere: -Io, anzitutto, detesto la
repubblica-. I1 dottore si dichiarò per il progresso:
-Perché, insomma, signor mio, delle riforme sono
indispensabili! - Foureau: -Sarà come lei dice! Però
è un fatto che tutte queste idee danneggiano il commercio!
Io me ne infischio, del commercio! - gridò Pécuchet.
Vaucorbeil proseguì: -Che almeno il governo estenda il
diritto di voto! - A tanto Bouvard non arrivava.
-Ah, così? - disse allora il dottore. -Adesso so che pensare
di lei! Buona notte! E le auguro un diluvio tale che nel suo lago
possa navigarci!
Un minuto dopo: -Me ne vado anch'io, - fece il sindaco; ed
accennando alla tasca: -Quando moccorrerà un altro
Abd-el-Kader, tornerò!
I1 parroco, prima di congedarsi, prese a parte Pécuchet e si
lagnò della sconvenienza di quella tomba in mezzo agli
ortaggi. Hurel partì, salutando appena. Quanto a Marescot,
sera squagliato sin dalla fine del pranzo.
La Bordin ripeté la ricetta dei cetriolini, ne promise una
per le prugne sotto spirito; e, per non parere, fece un ultimo
giretto nel viale; ma passando presso il tiglio abbattuto, vi si
impigliò ora lorlo della gonna; e la udirono
mormorare: -Ma che scemenza, quest'albero!
Rimasti soli sotto la pergola, i due anfitrioni diedero sfogo alla
loro amarezza. Certo il pranzo aveva qualche difettuccio qua e
là; ma che fosse stato un cattivo pranzo non si poteva dire,
se lavevano divorato con tanta ingordigia. Le critiche poi al
giardino, quelle a dettarle era stata evidentemente la piú
bassa invidia!
-Il laghetto è senzacqua! Bella scoperta! Date tempo
al tempo, e ci vedrete nuotare un cigno e dei pesci! -E la pagoda?
A malapena lhan degnata d'uno sguardo! -Dire che le rovine
non sono chic! Si può essere piú imbecilli? -E che la
tomba è una sconvenienza! Sconvenienza, perché? Non
sha forse il diritto, se così piace, di costruirsene
una nel proprio podere? To! in quella lì, io ho anzi
idea di farmici seppellire! - Oh, non parlare di queste cose! -
scongiurò Pécuchet.
Poi passarono in rivista i convitati: - I1 medico mha
laria di un bel posatore! -Hai notato con che aria di scherno
Marescot guardava il ritratto? -Che villanzone, il sindaco! Quando
si va a pranzo in casa daltri, non si intascano, che diamine,
i ninnoli che vi mostrano! -E la Bordin? che te ne è parso?
- chiese Bouvard. -Ah, lascia stare: è unintrigante!
[E così si conclude l’avventura da giardinieri. I
due eroi sono già pronti per tentare la strada della
fabbricazione delle marmellate e dei liquori, poi dello studio
dell’anatomia, poi della medicina ed anche ad improvvisarsi
guaritori alternativi. Di questo passo si appassionano volta per
volta, imperterriti ma sempre con gli stessi risultati, a tutte le
possibili attività e ad ogni possibile scienza umana. Fino
tornare a dedicarsi, alla fine, al loro vecchio lavoro di
calligrafi. Ma questa volta per piacere, e non per bisogno.]
Da: Gustave Flaubert - BOUVARD E PECUCHET - trad di Camillo
Sbarbaro - Einaudi 1964
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