Speciali

Poliziano

Secolo XV
Italia

L'Autore - Angelo Ambrogini detto Angelo Poliziano
Nato a Montepulciano (Mons Politianus) nel 1454, alla morte del padre notaio si trasferì a Firenze dove fu discepolo del Landino e di Marsilio Ficino.
Fu precettore del figlio di Lorenzo de' Medici, dalla cui corte fu allontanato nel 1479 a seguito della congiura dei Pazzi e per divergenze con Clarice Orsini, moglie di Lorenzo, in merito all'educazione del figlio Piero.
Soggiornò a Mantova presso il cardinale Federico Gonzaga, dove compose uno dei suoi capolavori, la Favola d'Orfeo.
Riconciliatosi con Lorenzo, ritornò a Firenze alla corte Medicea dove morì nel 1494, dopo avere retto la cattedra di di eloquenza latina e greca.
Altre opere: Stanze per la Giostra (1475), Detti piacevoli (1477-1479), Miscellanea (1489) e varie Poesie e Ballate.

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DALLE BALLATE

I' MI TROVAI...

Canzone a ballo in cui una fanciulla invita le compagne a dedicarsi subito all'amore, senza attendere che la rosa (la bellezza) sia sfiorita...


I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

Eran d'intorno vïolette e gigli
fra l'erba verde e vaghi fior novelli
azzurri, gialli, candidi e vermigli:
ond'io porsi la mano a côr di quelli,      a cogliere
per adornar e' mie' biondi capelli
e cinger di grillanda il vago crino.     ghirlanda

I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino.

Ma poi ch'i' ebbi pien di fiori un lembo,
vidi le rose e non pur d'un colore:      non d'un solo colore
io corsi allor per empier tutto il grembo,
perch'era sì soave il loro odore
che tutto mi senti' destare el core
di dolce voglia e d'un piacer divino.

I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino.

I' posi mente: quelle rose allora
mai non vi potre' dir quant'eron belle:
quale scoppiava della boccia ancora;      stava appena sbocciando
qual eron un po' passe e qual novelle.
Amor mi disse allor: - Va', cô di quelle      cogli di quelle
che più vedi fiorite in sullo spino - .      sul ramo

I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino.

Quando la rosa ogni suo foglia spande,      espande ogni suo petalo
quando è più bella, quando è più gradita;
allora è buona a metterla in grillande,
prima che sua bellezza sia fuggita:
sicché, fanciulle, mentre è più fiorita,
cogliàn la bella rosa del giardino.      cogliamo

I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

*      *      *

DALLE STANZE PER LA GIOSTRA

IL GIARDINO DI VENERE

Descrizione ideale di un giardino rinascimentale e dei fiori che lo ornano.
Ad ogni fiore si attribuiscono i segni dei miti da cui trae il nome.
Giacinto ha sui petali i segni (AI AI) che ricordano il grido di dolore di Apollo per la sua morte. Narciso si innamorò della sua immagine riflessa nell'acqua e, per raggiungerla, annegò in un rio. Clizia - il girasole - era una ninfa che si innamorò del sole, il quale la tramutò in quel fiore. Adone - l'adonide - amato da Venere, fu ucciso da un cinghiale che Marte geloso gli aizzò contro. Croco fu mutato nel fiore dello zafferano che ha tre segmenti purpurei sui petali. Acanto era una ninfa mutata da Apollo in un fiore.
Ovviamente i segni ed i colori di cui si parla si riferiscono alle specie originarie, non essendosi ancora prodotti, nel '400, gli ibridi che abbiamo oggi nei nostri giardini.


Con tal milizia e suoi figli accompagna
Venere bella, madre delli Amori,
Zefiro il prato di rugiada bagna,      la brezza portatrice di rugiada
spargendolo di mille vaghi odori:
ovunque vola, veste la campagna
di rose, gigli, vïolette e fiori:
l'erba di sue bellezze ha maraviglia,     ammira le bellezze della campagna
bianca, cilestra, pallida e vermiglia.

Trema la mammoletta verginella
con occhi bassi, onesta e vergognosa:
ma vie più lieta, più ridente e bella      ma ben più lieta
ardisce aprire il seno al sol la rosa:
questa di verde gemma s'incappella,      è coperta dai verdi sepali
quella si mostra allo sportel vezzosa,      si mostra appena nel boccio
l'altra che 'n dolce foco ardea pur ora      che era già arrivata ad aprirsi
languida cade e 'l bel pratello infiora.     ricopre il prato di fiori

L'alba nutrica d'amoroso nembo      nutre di nebbia amorosa
gialle, sanguigne e candide vïole.
Descritto ha il suo dolor Jacinto in grembo:
Narcisso al rio si specchia come suole:
in bianca veste con purpureo lembo
si gira Clizia pallidetta al sole:
Adon rinfresca a Venere il suo pianto;
tre lingue mostra Croco, e ride Acanto.

Mai rivestì di tante gemme l'erba
la novella stagion che il mondo aviva.      la primavera che ravviva la natura
Sovresso il verde colle alza superba      sopra il colle
l'ombrosa chioma u' el sol mai non arriva;      dove il sole non penetra
e sotto vel di spessi rami serba
fresca e gelata una fontana viva,
con sì pura, tranquilla e chiara vena     chiara corrente
che gli occhi non offesi al fondo mena.     che si vede il fondo

L'acqua da viva pomice zampilla,     da una rupe naturale
che con suo arco il bel monte sospende;
e per fiorito solco indi tranquilla
pingendo ogni sua orma al fonte scende:     colorando di fiori il suo percorso
dalle cui labra un grato umor distilla,
che 'l premio di lor ombre agli arbor rende.
Ciascun si pasce a mensa non avara,     alla ricca sorgente
e par che l'un dell'altro cresca a gara.

(Stanze, libro I, strofe 77-81)

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