Beppe Severgnini
Secolo XX
Italia
L'Autore - Beppe Severgnini, giornalista del
Corriere della Sera e corrispondente dellinglese The
Economist, ha al suo attivo un bel numero di pubblicazioni, tutte
baciate da ottimi successi di pubblico. È nota la sua
propensione per il mondo anglosassone, di cui possiede tutto
lhumour e laplomb, e per la lingua inglese alla cui
grammatica ha dedicato due divertenti volumi che, secondo
unpaccreditata leggenda metropolitana, gli avrebbe fatto
meritare il titolo onorario di Sir, conferitogli dalla Regina
Elisabetta II.
Oltre a trasmissioni radiofoniche nazionali (con Lella Costa ed
altri personaggi di spicco) ha curato anche, nel 2001, una
fortunata serie di quattro trasmissioni per la TV su RaiTRE dal
titolo Luoghi Comuni in cui è emersa la sua
straordinaria capacità di colloquiare improvvisando con
gente della strada, ed il garbo del suo modo di fare in televisione
spettacoli divertenti anche senza urla né ombelichi al
vento.
(La serie verrà ripresa questanno 2002 in Maggio sulla
stessa rete con cinque nuove puntate, per una delle quali -
dedicata al Giardino, ovviamente - Mario Larkie
Cacciari è stato chiamato come consulente e soggetto di
unintervista).
Le sue principali opere letterarie: Inglesi (Rizzoli 1990);
LInglese. Lezioni semiserie (Rizzoli 1992);
Italiani con valigia (Rizzoli 1993); Un Italiano in
America (Rizzoli 1995); Confronti (Rizzoli 1996);
LInglese. Nuove lezioni semiserie (Rizzoli 1997)
eccetera.
SETTEMBRE
Cè in Severgnini una semplicità, unintimità
con il lettore che, nella sua generazione, nessun altro ha e che
richiama Guareschi. Pensare chiaro, scrivere chiaro, sguardo al
dettaglio. Gianni Riotta.
Questo Severgnini è uno che non parla a vanvera, e che se ne
intende. E ha anche una sua scrittura... sfugge sempre al gergo
comune, e sa dove bisogna andare a cercare. Enzo Biagi
[...] Il secondo argomento di conversazione è costituito
dagli animali, che dell'immondizia (soprattutto quand'è un
po' invecchiata) vanno ghiotti. Non parliamo di animali domestici
come i cani, che si limitano a demolire le aiuole e imbrattare i
marciapiedi. Parliamo di animali selvatici, roba da documentario.
La loro presenza nel quartiere, apparentemente, è nota a
tutti, a eccezione del sottoscritto.
Qualche giorno fa ho visto fermarsi davanti alla finestra un
furgoncino dall'aria aggressiva, con la scritta Opossums &,
Racoons Specialists (Specialisti in Opossum e Orsetti
lavatori). Incuriosito da questi ghostbusters del regno
animale, ho chiesto cosa li conduceva a Georgetown. I1 giovane
conducente mi ha guardato con aria di sufficienza:
«Georgetown ha la più grande concentrazione di racoons
nel territorio degli Stati Uniti d'America», ha spiegato.
«Credevo che vivessero nei parchi nazionali», ho
risposto. Lo specialista ha preferito ignorare la mia osservazione.
«E opossum, ne ha visti? Sembrano topi obesi, ma non sono
topi obesi.» Opossum? Mai visti. Solo alcuni scoiattoli
grigi, uno scoiattolo nero, varie specie di uccelli, grilli, cicale
indefesse, l'occasionale gatto.
Ebbene: il ghostbuster aveva ragione. Qualche sera dopo, un
ratto obeso - successivamente, grazie all'Enciclopedia Britannica,
identificato come «opossum comune» (Didelphys
rnarsupialis) - appare nella luce dei lampioni, attraversa la
strada, passa sotto il cancelletto e si infila nel nostro giardino.
Tornerà spesso, nelle sere successive, procurandoci una
certa ansia. Non vorremmo, infatti, che finisse schiacciato da
un'automobile. I pirati della nettezza urbana, certamente,
avrebbero qualcosa da obiettare.
Impatiens non è soltanto il nome dei «fiori di
vetro» che, in maggio, ho piantato nell'aiuola di fronte a
casa. È la descrizione del mio stato d'animo. Fiori, prima
di allora, ne avevo comprati spesso. Colti, occasionalmente.
Piantati, mai. Da qui, l'entusiasmo del neofita, unito al timore di
sfigurare di fronte ai professionisti della 34esima strada.
Fioriranno? Appassiranno? Li ho bagnati a sufficienza? Li ho
affogati, come sostiene mia moglie?
Senza accorgermene, comincio a leggere sui giornali i consigli di
giardinaggio - un'attività che gli americani considerano il
segno inequivocabile della mezza età (il giardiniere-tipo ha
dai 34 ai 49 anni, un reddito superiore ai 50mila dollari e spende
400 dollari l'anno per il suo hobby). Lentamente, sviluppo un odio
feroce verso gli automobilisti che parcheggiano troppo vicini al
marciapiede, e verso i cani che scelgono la mia aiuola come
toilette. La moglie del senatore del Montana non ha di questi
problemi. Ha inchiodato ai piedi dell'albero una targhetta di
ottone - «Per favore. Non Sporcate» - e i cani
obbediscono. Sembra che riconoscano i fiori del senatore.
Questa improvvisa passione botanica, da parte di qualcuno che fino
a ieri non distingueva un tulipano da un girasole, non è
soltanto una innocente mania. La cura delle aiuole alla base degli
alberi (treeboxes), a Georgetown, è un dovere
sociale. Sera dopo sera, per tutta l'estate, mi sono preso cura di
quella di fronte a casa. Ho trascinato sulla strada la canna del
giardino; ho somministrato concimi dal colore sospetto; ho visitato
Johnson's - mecca del piccolo giardiniere - e sono tornato pieno di
attrezzi inutili.
Negli ultimi giorni, ho ricevuto numerose congratulazioni. Non per
i risultati - che rimangono modesti, e non mi apriranno le porte
del Georgetown Garden Club - ma per i progressi. L'aiuola di fronte
al numero 1513 sembrava una discarica e ora mostra una dozzina di
chiazze fiorite. Gli americani apprezzano queste cose. Se in Gran
Bretagna la più popolare rivista di giardinaggio si chiama
Home & Garden, casa e giardino, l'equivalente americano
è Better Homes & Gardens: l'accento è sul
miglioramento (better), più che sul risultato. Questo
paese, comincio a pensare, mi piace.
Ai complimenti sono seguiti biglietti, telefonate, qualche invito a
cena. Quando chiedo agli studenti di bagnare l'aiuola, durante una
mia assenza, accettano di buon grado. Sei mesi dopo essere comparso
sulla 34esima strada, ho la sensazione di essere stato accettato
come residente. Per un italiano all'estero, la promozione non
è automatica. Non ha importanza quanto siamo ricchi,
sofisticati ed eleganti. I1 nostro senso civico, nel mondo
anglosassone, è perennemente sotto esame. A Londra, anni fa,
il padrone di casa (americano) ci raccomandò di non stendere
la biancheria sui fli tesi tra due finestre, «come si fa in
Italia». Come lo sapeva? Diamine, l'aveva visto al cinema.
* * *
La 34esima strada non ha soltanto aiuole alla base degli alberi e
piccoli giardini nascosti. Tra Q Street e Volta Place si apre uno
spazio verde, e prende il nome di Volta Park. Parco, a essere
onesti, è un termine un po' impegnativo. In tutto, la zona
comprende una piccola piscina, due campi da tennis, due campi da
pallacanestro, un campo-giochi e un prato. Ognuno di questi spazi
ha una precisa clientela. In piscina e nei campi da basket arrivano
soprattutto famiglie e teen-ager neri, provenienti da altre parti
della città. Nei campi da tennis, il Volta Park è
prevalentemente bianco: è frequentato infatti dai residenti,
troppo poveri o troppo pigri per arrivare fino al country
club. Nel campo-giochi, grazie al vicino asilo Montessori, ci
sono più sfumature di pelle che all'assemblea delle Nazioni
Unite.
Un giorno, un biglietto infilato sotto la porta annuncia che, il
sabato pomeriggio, è in programma il Volta Park
Clean-Up, ovvero la pulizia stagionale del parco, che
l'amministrazione del Distretto di Columbia, perennemente senza
soldi, trascura. Si tratta di una tradizione, informano gli
organizzatori, e come sempre si cercano volontari. In
qualità di nuovi arrivati, decidiamo di aderire. Ci
presentiamo puntuali, vestiti come lavoratori Amish: vecchi
pantaloni, maglioni sbiaditi, zappa, badile, scopa, palette.
Capisco subito, dalle espressioni dei presenti, che il nostro zelo
viene apprezzato. Tutti vogliono sapere dove abitiamo, da dove
veniamo, cosa facciarno nella vita e, soprattutto, cosa abbiamo
intenzione di fare questo pomeriggio: aiuole, prato o marciapiedi?
Notiamo che il numero dei volontari è ridotto sette persone
- ma veniamo assicurati che altri sono in arrivo. Pare, tuttavia,
che la maggior parte dei residenti abbia optato per una donazione
in denaro, o in bulbi di tulipano, e sia partita per il fine
settimana.
Tra le forze presenti, la maggioranza è rappresentata da
signore di età indefinibile, compresa tra i 45 e i 75 anni.
Capelli biondi, vestite con ricercata trascuratezza, non hanno
nulla delle coetanee californiane, le quali avrebbero trasformato
il parco in una mostra di chirurgia plastica en plein air.
Le washingtoniane possiedono un altro stile, ma una caratteristica
in comune: chiacchierano. Mentre cerco di estirpare l'erba
cresciuta rigogliosa sul marciapiede, vengo a sapere vicende in
grado di riempire tre puntate di The Bold and the Beautiful.
Impiegati della Banca Mondiale in attesa del divorzio; mogli di
diplomatici che sono ricorse all'inseminazione artificiale; medici
con figli irrequieti; un nuovo arrivato che propone una
sottoscrizione per riempire il parco di ciliegi del Giappone, e non
è nemmeno giapponese.
Dopo due ore, siamo in intimità. Non soltanto so
cosè accaduto all'impiegato della Banca Mondiale
(è stata lei a lasciarlo), ma vengo presentato a una serie
di passanti («Ecco il nostro simpatico lavoratore
italiano»), alcuni dei quali compaiono stremati dal jogging,
ma si guardano bene dal chinare la schiena e prendere una zappa.
Uno dei corridori, pensando di essere gentile, mi chiede se sono
pagato all'ora o a giornata. Rispondo che sono uno schiavo, e
appartengo alla signora del numero 1506.
Ogni tanto le mie compagne di lavoro - e fonti della mia colonna
sonora - si scusano, dicono di dover rientrare a casa, e
ricompaiono nel giro di pochi minuti. All'inizio non ci faccio
caso, poi comincio a insospettirmi. L'unica spiegazione del
fenomeno è questa: le loro case sono molto vicine al
nostro luogo di lavoro; quindi, le signore stanno facendo
pulizia davanti alla propria casa; perciò io,
lavorando nella stessa zona, sto pulendo il loro
marciapiede.
La rivelazione mi colpisce profondamente. Ecco - vorrei gridare -
una splendida lezione di «socialismo americano»! Ecco
la prova che le due grandi passioni di questo paese - la
proprietà privata che motivò i pionieri e lo spirito
associativo che entusiasmò Alexis de Tocqueville - non sono
per nulla incompatibili. Tutto quello che occorre è un
italiano di buon cuore, disposto a lavorare gratis. Spero soltanto
che, in memoria di questo pomeriggio di lavoro e d'altruismo,
qualcuno provveda a mettere, in un angolo di Volta Park, un cippo
con un'epigrafe.
QUI, SUDANDO SU ZAPPA E BADILE,
FATICÒ UN ITALIANO UN PO' INFANTILE.
ESTIRPÒ ERBACCE CON PASSIONE
(A SCHIENA CURVA, BRUTTA POSIZIONE).
RACCONTATELO Al VOSTRI BAMBINI:
L'INGENUO Sl CHIAMAVA SEVERGNINI.
Da: Beppe Severgnini - UN ITALIANO IN AMERICA - 1995 (Edizione Superpocket, 1998)
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