Speciali

Emile zola

Secolo XIX
Francia

L'Autore - Emile Zola (Parigi 1840 - 1902). Figlio di un italiano morto nel 1847 in un incidente di lavoro, trascorse l'infanzia e la prima giovinezza in gravi ristrettezze economiche,. Dopo avere rinunciato a proseguire gli studi dovette adattarsi a fare vari mestieri. Fu anche giornalista - attività che non abbandonò mai del tutto - e lavorò presso l'editore Hachette. Caposcuola del naturalismo (movimento che perseguiva l'osservazione oggettiva del comportamento umano e dei rapporti sociali), si interessò vivacemente anche delle classi subalterne, fino ad allora escluse dalla grande letteratura. Entrò in numerose polemiche, artistiche e sociali: dal prendere le difese di Manet e degli impressionisti allo schierarsi attivamente con gli innocentisti nel caso Dreyfus. A questo proposito scrisse una (J’accuse!, 1898) che gli costò una condanna a un anno di prigione e lo obbligò a rifugiarsi in Inghilterra).
Dopo il primo successo narrativo, Teresa Raquin (1867), concepì il progetto di un ciclo di romanzi che doveva prendere in esame tutti gli strati della società attraverso le vicende di personaggi appartenenti a un unico ceppo familiare. Ebbe così vita la saga dei Rougon-Macquart, 20 romanzi (1871-1931) fra i quali La conquista di Plassans (1874), L'Assommoir (1877), Nanà (1880), Germinal (1885), L'opera (1886), La bestia umana (1890), e questo La Curée (1871, tradotto in taliano anche col titolo La Cuccagna) vivacissimi ed incisivi quadri di vita sociale, culturale e politica. L'ultimo progetto fu ancora un ciclo, I quattro vangeli, ma rimase incompiuto per la morte improvvisa dell'autore, causata dalle esalazioni di una stufa. Zola fu uno dei pochissimi del suo tempo ad affrontare il tema del conflitto sociale tra classe proprietaria e proletariato, mentre le correnti per lo più estetizzanti e decadenti che ormai dominavano la letteratura occidentale sembravano non accorgersene neppure.


*      *      *

LA GRANDE SERRA, LA CARNE, IL DIAVOLO

[Il romanzo è il secondo del ciclo dei Rougon-Macquart e descrive efficacemente l’affannosa corsa all’arricchimento ed agli onori che caratterizzò la società borghese del Secondo Impero.
La bellissima e giovane Renée, moglie dell’anziano affarista Aristide Saccard, si incapriccia del quasi coetaneo Maxime, efebo dissoluto figlio di primo letto di Saccard, e ne fa il suo amante.
La passione tra i due si svolge in un intrico di motivi che vanno dal denaro alla gelosia, fino alla depravazione più disinvolta, sullo sfondo della Parigi gaudente e della natura lussuriosa e lussureggiante che vive nella grande bellissima serra del palazzo.
La stessa funzione “afrodisiaca” che Zola attribuisce alla natura in questo romanzo, la ritroviamo, enfatizzata e portata a ruolo addirittura di protagonista, nel Paradou, il giardino segreto e magico che compare in “La Colpa dell’Abate Morel”, appartenente al medesimo ciclo, che l’Autore scrisse qualche anno più tardi.
Nel 1966 da La curée Roger Vadim trasse il film La Calda Preda con Jane Fonda e Michel Piccoli.]

(dal Capitolo 1)

[Maxime e Louise] ridevano allegramente credendosi soli; non si erano accorti che, dalla serra, Renée li stava osservando.

Pochi attimi prima, mentre percorreva un vialetto, la donna era rimasta immobile dietro una pianta, alla vista dei due giovani. La serra che la circondava, simile alla navata di una chiesa, la cui vetrata a volta era sostenuta dalle sottili colonne di ferro, sfoggiava una ricca vegetazione di piante grasse, di abbondanti distese di foglie e di larghi tappeti di verde.

Al centro, una vasca ovale era nascosta da tutta la vegetazione acquatica dei paesi del sud. Le ciclantee (1) si alzavano, formando quasi un muro attorno allo zampillo della vasca che somigliava al capitello di una colonna. Grandi piante di tornelie (2), simili a serpenti attorcigliati, lasciavano pendere radici aeree, che si intrecciavano come maglie di una rete appesa. Un pandanus (3) di Giava allargava il suo enorme fogliame verdastro striato di bianco, spinoso e tagliente come un pugnale. Sullo specchio d'acqua, immobile e tiepido, le rosee ninfee sbocciavano mentre le foglie degli eurialidi (4) vagavano a fior d'acqua, come dorsi di rospi mostruosi.

Una striscia di selaginella (5) circondava la vasca formando un fitto tappeto di muschio, come un praticello verde tenero. Oltre il viale circolare, gruppi di alberi si innalzavano con slancio fino alla volta: Ie palme lasciavano ricadere le foglie come ventagli e i bambù d'India sottili e diritti facevano cadere una leggera pioggia di foglie, un banano carico di frutti distendeva le sue lunghe foglie dove avrebbero potuto comodamente giacere due amanti, stretti l'uno all'altro. Sotto gli alberi, per nascondere il suolo, alcune felci basse lo coprivano di pizzi delicati. Poi una bordura di begonie dalle foglie punteggiate e ritorte; i caladium (6), le marantee (7), le gloxinie (8) e le dracene (9).

Ma una delle cose più affascinanti di quel giardino erano le nicchie di fronde, ai quattro angoli, ricoperte da cortine di liane. Angoli di foresta vergine, impenetrabili intrichi di steli di viticci flessuosi; una pianta di vaniglia (10) dai baccelli maturi e profumatissimi e l'arco di un portico coperto di muschio; e sotto gli archi, fra gli alberi, sottili catene reggevano cesti colmi di orchidee. Ma ad ogni svolta dei viali si era colpiti alla vista di un lussureggiante ibisco di Cina, le cui fronde e fiori ricoprivano tutto il lato del palazzo confinante con la serra. I suoi grandi fiori porporini parevano sensuali bocche di donna dalle labbra carnose e umide, pronte a distribuire baci sino alla morte.

Renée rabbrividiva, in mezzo a tanti fiori. Alle sue spalle, una gigantesca sfinge di marmo nero sorrideva come un gatto sornione. Alcune statue biancheggiavano nel folto degli arbusti e, nell'acqua stagnante, giocavano strani riflessi di luce. Sulle lisce foglie del ravenala (11) scorrevano bagliori candidi, mentre sulle cime delle palme scintillavano riflessi di vetro. All'intorno, l'oscurità era fitta, e i drappeggi delle liane pareva dormissero come rettili attorcigliati.

Renée, pensierosa, sotto la luce violenta, guardava Maxime e Louise. L'incerta tentazione del crepuscolo, sui viali del Bois, era finita; il trotto dei cavalli non cullava più i suoi pensieri; ora, un desiderio ben definito e pungente la possedeva.

In quella navata, dove l'ardente linfa dei tropici ribolliva, fluttuava un bisogno immenso di voluttà. La donna si sentiva afferrata in quel rigoglio di foresta, quella vegetazione, riscaldata dal nutrimento delle sue viscere, la invadeva di strani effluvi carichi di ebbrezza. Le calde acque della vasca fumavano, e invadevano le sue spalle di vapori che le riscaldavano la pelle come la carezza di una mano carica di voluttà. Quegli odori che la circondavano, la spossavano e un profumo, fatto di mille profumi, aleggiava intorno a lei; profumi delicati venivano sopraffatti da altri violenti e impregnati di veleno. Ma, in questa magica sinfonia di odori, la melodia dominante che s'innalza su tutti gli altri profumi, era l'odore umano, sensuale e penetrante che si effonde al mattino dalla camera di due giovani sposi.

Renée, appoggiata al piedistallo della sfinge, con il seno ed il volto di fuoco scintillanti di gocce di diamanti, era simile ad un fiore, una grande ninfea della vasca. In quel momento, tutte le promesse fatte nell'ombra fresca della notte che l'aveva calmata, venivano scordate per sempre. I suoi sensi di donna ardente si risvegliavano, con tutti i capricci della donna ormai disincantata. E, alle sue spalle, la sfinge di marmo nero rideva, come se avesse letto in quel cuore il desiderio finalmente espresso, quelle « altre cose » che aveva a lungo cercato e che aveva finalmente trovato in quel giardino di fuoco, alla vista dei due giovani che ridevano tenendosi le mani.

Si sentirono delle voci uscire da un vicino bersò, dove Saccard stava con Mignon e Charrier.

—Vi garantisco signor Saccard, — diceva Charrier con voce untuosa, — che ci è impossibile ricomprarlo a più di duecento franchi il metro.

E Saccard ribatteva con voce secca:

— Ma da parte mia, l'avevate calcolato a duecentocinquanta franchi il metro!

—Allora facciamo duecentoventicinque.

Le voci risuonarono brutali sotto i rami degli alberi. Ma non sfiorarono neppure il sogno di Renée, che seguiva un piacere ignoto, dal calore peccaminoso più violento di quelli che aveva conosciuto; I'unico frutto che dovesse ancora assaporare. La spossatezza era scomparsa.

Le larghe foglie dell'arbusto che la nascondeva, un tanguino (12) del Madagascar, contenevano un latte velenoso. Nel momento in cui Maxime e Louise ridevano più forte nel caldo tramonto giallo del salottino, Renée, sconvolta e irritata, morse una delle foglie amare del tanguino maledetto. ...

[Renée riesce a superare gli ultimi scrupoli e le ultime difficoltà ed a fare di Maxime il suo amante. La passione è senza freni fino al giorno in cui i due hanno l’impressione di essere stati visti da Aristide]

(dal Capitolo 4)

... Da quella notte cercarono di essere più prudenti. Chiudevano le porte del salotto, potendo in tal modo godere in tutta tranquillità di quella stanza, della serra, e della camera di Renée. Era il loro mondo e, durante i primi tempi della loro relazione, vi gustarono i piaceri più raffinati e ricercati. I loro amori passarono dal grande letto grigio e rosa alla calda tonalità di carne nuda della stanza da bagno e alla gialla sinfonia del salottino. Ognuno di questi luoghi, con il suo particolare odore, e la sua particolare vita, dava loro una tenerezza differente e faceva di Renée un'amante sempre diversa. Nel suo meraviglioso letto imbottito, fu tenera e graziosa; fra gli umidi e profumati languori della stanza da bagno si rivelò femmina capricciosa e carnale, concedendosi all'uscita dalla vasca, e fu così che Maxime la preferì, poi, nel risveglio del sole del salotto in quella gialla aurora che la dorava, divenne una bionda dea, con le braccia nude in casti atteggiamenti ed il puro corpo che disegnava sui divani linee di grazia antica. Ma c'era un luogo che dava a Maxime un po' di paura e in cui Renée lo trascinava nei giorni in cui sentiva il bisogno di sensualità violente. Si amavano allora nella serra ed in quel luogo l'incesto era profondamente assaporato.

In una notte angosciosa, la giovane donna aveva voluto che l'amante andasse a prenderle una delle pelli d'orso nero. Si sdraiarono quindi su quella pelliccia, accanto alla grande vasca. Fuori il freddo era pungente, tanto che Maxime era arrivato con le orecchie e i piedi gelati. Il calore della serra era invece così soffocante che, come si distese, il giovanotto perse i sensi. Quando si riprese, vide Renée inginocchiata accanto a lui, con gli occhi fissi e un atteggiamento così brutale che si spaventò. Con i capelli sciolti sulle spalle nude, il busto sollevato sui pugni e la schiena allungata, pareva una grande gatta dagli occhi luminescenti. Il giovane, coricato sulla schiena, vide dietro le spalle di quella adorabile bestia in amore la sfinge di marmo di cui la luna illuminava le cosce lucenti. Renée aveva l'atteggiamento e il sorriso di quel mostro dalla testa di donna e pareva la bianca sorella di quella nera divinità.

Maxime era stordito. Il caldo di quel luogo era soffocante, ma non era un calore che scendeva dall'alto sotto forma di pioggia infuocata, ma che usciva dal suolo come un fluido malsano che saliva come una nube tempestosa. Una umidità calda copriva i corpi dei due amanti come un sudore ardente. Per un lungo tempo restarono immobili e muti in quel bagno di fuoco, I'uno spossato e inerte, I'altra fremente, sollevata sui pugni come su garretti nervosi. Attraverso i piccoli vetri della serra si intravvedevano alcuni angoli del parco Monceau, un paesaggio morto dalle sfumature chiare, simile ad una stampa giapponese. E quell'angolo di terra bruciata, dove i due amanti stavano immobili, ribolliva in modo strano circondato dal gelo della notte e da quell'immenso silenzio.

Fu una notte di folle amore. Renée era il maschio, la volontà appassionata e attiva. Maxime subiva. Quella creatura neutra, graziosamente biondo, la cui virilità era stata colpita fin dall'infanzia, diventava nell'abbraccio della giovane donna una fanciulla snella le cui membra senza peli, dalla graziosa magrezza, facevano pensare ad un efebo romano. Pareva esistesse per la perversione della voluttà. E mentre dominava con la passione quell'essere dal senso ancora esitante, Renée godeva con una strana sensazione di malessere e di piacere acuto. Si sentiva disorientata, i dubbi la facevano tornare alla delicata pelle di lui, al suo collo grassottello, ai suoi abbandoni e svenimenti. Ebbe allora un'ora di compiutezza piena. Maxime, dandole quel fremito nuovo, completava il suo abbigliamento folle, il suo lusso prodigioso, la sua vita di eccessi. Fu l'amante che si armonizzava a meraviglia con le mode e le follie dell'epoca. Quel giovanotto aggraziato, dalle gracili forme messe in risalto dagli abiti, quella ragazza mancata che passeggiava sui boulevard sorridendo annoiato, divenne, fra le mani di Renée, uno di quei dissoluti debosciati della decadenza, che in una nazione corrotta, riescono a spossare un corpo e a sconvolgerne la mente

Ed era soprattutto nella serra che Renée era l'uomo. Quella notte di passione fu seguita da molte altre. La serra amava, bruciava con loro. In quella pesante atmosfera, circondati dal chiarore lunare, osservavano intorno a loro lo strano mondo delle piante che si torcevano in abbracci confusi. Dalla vasca, ai loro piedi, brulicante di radici, usciva un caldo vapore, mentre le rosse ninfee si schiudevano a fior d'acqua come corsetti di vergini, e le tornelie lasciavano cadere i loro rami come chiome sciolte di nereidi in deliquio. Le palme e i grandi bambù d'India si curvavano, confondendo le loro foglie con pose vacillanti di amanti spossati. Le felci, le pteridi (13) e le alsophile (14) parevano verdi femmine mute e immobili in attesa dell'amore. Le begonie, dalle foglie macchiate di rosso accanto ai candidi caladium, parevano un susseguirsi di ferite e di pallori che gli amanti non distinguevano e dove pareva loro di scorgere, talvolta bianche rotondità di fianchi e di ginocchia cadute a terra sotto brutali carezze sanguinanti. I banani parlavano loro della ricca fertilità del suolo, mentre le euforbie abissine parevano stillare la linfa di quello straripante flusso generatore di fiamme. E man mano che i loro occhi riuscivano a penetrare gli angoli della serra, l'oscurità era sempre più popolata da una sfrenata orgia di foglie che si rincorrevano con tenerezza inappagata. Negli angoli, dove le liane intrecciate formavano delle piccole grotte, il loro sogno carnale diventava più folle, tutti quei flessuosi viticci diventavano braccia d'amanti invisibili, che si allungavano perdutamente nel loro amplesso per raccoglierne tutti i piaceri sparsi. Quelle braccia senza fine ricadevano languide, si riannodavano in nuovi spasimi d'amore, si cercavano attorcigliandosi come in preda all'erotismo più folle. Era l'erotismo immenso di quell'angolo di foresta vergine dove germogliano le piante e le fiammeggianti fioriture dei tropici.

I due amanti, con i sensi alterati, si sentivano trascinati in quei potenti amplessi della terra. Il suolo, attraverso la pelle d'orso, bruciava loro la pelle, mentre dalle altre palme cadevano su loro delle gocce di fiamma. La linfa, salendo lungo gli alberi, li penetrava comunicando loro desideri folli di gigantesca riproduzione. Prendevano parte all'erotismo della serra, rimanendo inebetiti nel pallido chiarore lunare, di fronte a quegli incubi dei lunghi amori delle palme e delle felci; le fronde assumevano aspetti equivoci, concretizzate dal loro desiderio in voluttuose immagini sensuali, mentre dal folto degli alberi uscivano sussurrii di voci in deliquio, sospiri di estasi, grida soffocate risa, tutti i rumori dei loro amplessi riportati dall'eco. Alle volte si sentivano scossi dal tremito del suolo, come se anche la terra appagata si scuotesse in singulti voluttuosi.

E, pur con gli occhi chiusi, senza che il calore soffocante e il pallido chiarore lunare avessero infuso in loro quella depravazione sensuale sarebbero bastati gli odori a gettarli in uno straordinário erotismo nervoso. Dalla vasca usciva un odore aspro al quale si confondevano mille profumi che li penetravano. La vaniglia pareva intonare un canto simile al tubar dei colombi, al quale si univano le note aspre delle stanhopee (15), dalle cui bocche usciva un alito amaro da convalescente. E nei loro canestri, simili a incensieri, le orchidee esalavano i loro respiri. Ma l'odore, nel quale tutti gli altri si confondevano era l'odore umano, un odore d'amore che Maxime riconosceva quando, nascondendo il volto tra gli sciolti capelli di Renée la baciava sulla nuca. E questo odore di donna innamorata che fluttuava nella serra, come in una alcova in cui la terra generasse, li stordiva.

Il posto preferito dagli amanti era ai piedi del tanguino del Madagascar, sotto quell'albero velenoso di cui Renée aveva morso una foglia. Intorno a loro il biancheggiare delle statue ridenti contemplava l'infinito accoppiamento delle fronde. La luna, nel suo vagare, animava il dramma con il suo chiarore cangiante. E loro si sentivano lontanissimi da Parigi, fuori dalla facile vita del Bois e dei ricevimenti ufficiali si sentivano in un lontano angolo di foresta, vicino ad un mostruoso tempio il cui dio era la nera sfinge di marmo. Si sentivano violentemente attratti verso la colpa di quell'amore maledetto, verso una tenerezza di animali selvaggi. Tutto ciò che li circondava, dal brulichio cupo della vasca, all'impudicizia nuda delle fronde, li inabissava sempre più nell'inferno della passione, ed era in quella scatola di vetro, che bruciava nelle fiamme dell'estate, perduta nel chiaro freddo di dicembre, che gustavano l'incesto, come il frutto maledetto d'una terra troppo calda.

Il bianco corpo di Renée spiccava sulla pelliccia nera, in quell'atteggiamento di gatta in amore. Le chiare linee delle spalle e dei fianchi disegnavano i contorni di quel corpo felino gonfio di voluttà, sulla nera pelliccia che pareva una macchia sulla sabbia gialla del viale. Essa spiava Maxime come una preda riversa e abbandonata, che essa possedeva completamente. Ogni tanto si chinava bruscamente a baciarlo, irritata. Quella bocca si apriva allora avida e sanguinante come l'ibisco di Cina e in quei momenti non era più che una figlia ardente della serra. E, come i rossi fiori della grande malva, che vivono poche ore, rinascendo senza posa come le insaziabili labbra di una gigantesca Messalina, i suoi baci fiorivano ed appassivano.

NOTE di Larkie

(1) - Le piante della famiglia delle Cyclanthaceae hanno l’aspetto di piccole palme, e si avvicinano per certi aspetti a queste, e per altri alle Araceae. Sono per lo più rampicanti tropicali di origine Sudamericana ed il genere tipico è il Cyclanthus, spesso coltivato a scopo ornamentale.

(2) - Tornelia dilacerata è un discusso e disusato sinonimo di Scindapsus dilaceratus e di Monstera dilacerata. Si tratta di una pianta delle Araceae proveniente dalla Malesia centrale ed occidentale.

(3) - Pandanus odoratissimum è una pianta delle Pandanaceae, originaria dell’India, Africa tropicale, Australia ed isole del Pacifico. Conosciuta come Ananasso della Cina, è una elegante pianta da serra caldo umida. Molto diffusi anche P. veitchii e P. sanderi, dalle foglie variegate e marginate di giallo o di bianco.

(4) - Euryale spp. Piante di origine asiatica, della famiglia delle Nymphaeaceae, con foglie galleggianti a nervature spinose e semi eduli.

(5) - Selaginella sp. Genere di piccole piante abbastanza simili ad Epatiche e a Muschi, prevalentemente provenienti dai climi caldi ed umidi dei tropici.

(6) - Al genere Caladium (fam. Araceae) appartengono alcune tra le più belle piante da fogliame caratterizzate dalle colorazioni brillanti, i particolari riflessi e la struttura traslucida delle foglie. In genere vivono allo stato spontaneo nelle foreste tropicali americane lungo le rive di fiumi e ruscelli.

(7) - Il genere Marantha è tipico delle foreste tropicali americane e comprende specie simili alla Canna indica, ma alte anche 2-3 m. Fogliame abbondante, spesso variegato e screziato.

(8) - La Gloxinia (oggi Sinningia speciosa) è una pianta tropicale della famiglia delle Gesneriaceae, originaria del Brasile. Alta 25-30 cm, ha grandi fiori vellutati di colore fondamentalmente violetto o porpora.

(9) - Il genere Dracaena comprende circa 40 specie distribuite per lo più nelle zone tropicali di Asia e Africa. Hanno portamento arbustivo o di piccolo albero, con foglie lanceolate ensiformi riunite a ciuffi all’apice dei rami.

(10) - Vanilla planifolia è un’orchidea erbacea rampicante, originaria delle foreste tropicali, apprezzata più per i baccelli profumatissimi usati in culinaria che non per i grandi fiori, inferiori per bellezza a quelli di altre orchidee.

(11) - Ravenala madagascariensis e R. guyanensis appartengono, come il banano (Musa paradisiaca), alla famiglia delle Musaceae. Sono gigantesche piante erbacee, adatte per la coltura in serra calda ed umida. Il nome, in dialetto del Madagascar, significa “Albero del Viaggiatore” poichè sono in grado di conservare una notevole quantità di acqua piovana all’inserzione delle foglie. Forandone il picciolo, è possibile farla zampillare per dissetarsi.

(12) - Non ho trovato tracce della parola tanguino in nessuno dei repertori di botanica o di erboristeria in mio possesso. Sul web una accurata ricerca non ha dato risultato...
Poi mi è venuto in mente di andare a cercare su un vecchissimo Zingarelli (una prima edizione che risale ai primi decenni del ‘900) che conservo come una reliquia ed ho trovato:
Tanguino - “Albero del Madagascar (Tanghinia venenifera) la cui mandorla è un tossico narcotico acre dei più energici” .
Da qui sono potuto finalmente risalire a capire che si tratta di una pianta della fam. delle Apocynaceae, contenente un alcaloide di una certa potenza, in inglese chiamata Tanghin o Tanquen, detta anche Albero delle Ordalìe per il fatto che l’ingestione di una parte della noce servì in passato come giudizio di Dio (chi moriva era colpevole...).

(13) - Il genere Pteris (qui forse Pteris tremula originaria dell’Australia e della N. Zelanda) comprende circa 250 specie di felci alcune delle quali anche nostrane.

(14) - Il genere Alsophila comprende felci arboree di notevoli dimensioni, come A. australis (orig. della Tasmania) che ha eleganti fronde lunghe anche due metri.

(15) - Le Orchidee del genere Stanhopea sono epifite delle foreste tropicali messicane e brasiliane. L’infiorescenza, che al mattino si apre con uno scatto rumoroso, porta due o tre fiori procumbenti, grandi, di consistenza cerea e molto profumati, la cui breve durata è compensata dalla quantità generosa.

Da: Emile Zola - LA PREDA - traduzione di Carmen Lottero - Edizioni dell’Albero 1966 - pagg 28-30 e 108-111

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